I grandi gialli dell'ambiente - Il caso misterioso del mercantile Rosso naufragato al largo della Calabria: tre testimonianze alla commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti

Pubblichiamo il testo integrale dell'audizione condotta dalla commissione bicamerale d'inchiesta sul traffico dei rifiuti, che si è svolta il 23 febbraio 2005 con il colonnello Ivano Tore

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del colonnello Ivano Tore. Comunico che le previste audizioni del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste Nicola Maria Pace e del capitano di vascello Giuseppe Bellantone sono rinviate ad altra data.

La Commissione, nello svolgimento delle proprie attività istituzionali, intende acquisire dati ed elementi conoscitivi sullo stato di attuazione della vigente normativa in materia di gestione del ciclo dei rifiuti. La Commissione ha convenuto sull'opportunità di procedere all'audizione del colonnello Tore in merito alle indagini cui ha partecipato in ordine alla vicenda della motonave Rosso, appartenente alla compagnia genovese Ignazio Messina Spa, arenatasi nel 1990 sulla costa calabrese presso il comune di Amantea, relativamente alla quale sono ancora in corso indagini della magistratura e la stessa Commissione sta svolgendo specifici approfondimenti.

Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata, do subito la parola al colonnello Tore, riservando eventuali domande dei colleghi della Commissione al termine del suo intervento.

IVANO TORE. Signor presidente, faccio un breve cappello sulla mia attività svolta in Calabria, in particolare a Reggio Calabria, quale comandante del nucleo operativo del comando provinciale dal 1992 al 1995. Verso il 1994 furono segnalate delle attività di trasporto di rifiuti solidi dalla zona della Campania verso la parte ionica della Calabria, in particolare nella zona di Locri. La prima attività che ponemmo in atto fu quella di individuare gli autotreni che viaggiavano nottetempo scaricando rifiuti solidi urbani, o comunque rifiuti speciali, in crepacci naturali. Come probabilmente alcuni di loro sanno, la Calabria è piena di queste fenditure, specialmente in quella zona.

Furono predisposte attività di identificazione di questi mezzi verso la zona di Mammola, quindi nella parte che collega la famosa strada che da Gioia Tauro porta a Roccella Jonica, la superstrada che collega le due sponde del mare. Furono individuati degli autisti con i relativi mezzi di società, ma questa attività inizialmente non portò ad altro se non a individuare qualche sito attraverso una ricognizione aerea che facemmo con un elicottero, da cui anche ad occhio nudo si intravedeva benissimo ciò che vi era stato collocato. Evidentemente, le attività cantieristiche poste in essere nella zona erano tali che con le ruspe coprivano questo materiale. Probabilmente lo facevano già da molto tempo, ma la cosa divenne nota nel 1994.

Ne parlammo con il magistrato, il dottor Neri, all'epoca procuratore aggiunto a Reggio Calabria, il quale manifestò un interesse particolare per questa attività, e quindi costituimmo una piccola squadra con il comandante in testa, due collaboratori e in più il comandante della Capitaneria di porto, che poi, nel 1995, è deceduto durante la sua attività. Grazie all'individuazione di qualche attività che anche il Messina già svolgeva sulla terra e non via mare, estendemmo il nostro raggio d'azione alle attività che egli svolgeva a Genova. Il dottor Neri acquisì una serie di dati sulla compagnia Messina e venne fuori la vicenda di una nave arenata presso Cosenza, nella zona Catanzaro-Cosenza. Si cominciò a parlare di uranio impoverito che questa nave trasportava. Era arenata lì da molto tempo.

Incominciammo quindi questa attività. Innanzitutto, su disposizione del magistrato, acquisimmo una serie di certificazioni mediche presso le ASL di Cosenza e Catanzaro relative a decessi dovuti ad eventuali introduzioni nel corpo umano di queste sostanze. Emerse una quantità che adesso non indico numericamente, comunque abbastanza consistente, di certificazioni per morti strane, nel senso che erano dovute a problemi di inquinamento atmosferico. Restringemmo il campo dell'attività alla zona in cui la nave si era arenata, sulla spiaggia di Amantea. Il dottor Neri prese la palla al balzo e, essendo interessata alla prima parte delle indagini anche la regione Campania, chiamò il dottor Cordova, all'epoca procuratore di Napoli. Con Neri e Scuderi, capo della Procura di Reggio Calabria, i magistrati decisero di allargare l'inchiesta, che ci portò a Brescia, perché lì c'era un centro della Guardia forestale molto ben attrezzato, composto da gente veramente in gamba dal punto di vista investigativo. Il comandante evidentemente aveva lavorato nel Nord e diede ai magistrati molte notizie. Ricordo che nei tre giorni di permanenza a Brescia il dottor Cordova informò con una propria lettera il Presidente della Repubblica Scalfaro. Non so il contenuto della lettera, ma so che lo informò perché mandarono uno dei miei due collaboratori a portare questa missiva la sera stessa.

Non ho altri ricordi, più precisi, ma questi sono gli aspetti principali. Se mi rivolgerete qualche domanda specifica, è possibile che possa riaffiorare in me il ricordo di qualche dettaglio che adesso mi sfugge. Ovviamente, sono a disposizione. Nel 1995, comunque, sono andato a La Spezia e lì, proprio grazie alla mia pregressa attività, notai un altro aspetto che era collegato. Quindi, abbiamo continuato l'attività con la Guardia forestale, con uomini della Guardia forestale, perché l'arma, nel senso del mio reparto... poi si sa come vanno queste cose, andato via il comandante... Io credevo in questa attività. Insomma, sono venuti un paio di volte a sequestrare documenti, poi ci furono altre vicende e i magistrati di La Spezia ebbero impegni particolari e questa cosa di La Spezia poi si è risolta, a lungo andare, con ricerche, come loro sanno. Ora, la nota discarica che si trovava a La Spezia è stata eliminata del tutto, ma con un grosso impegno dal punto di vista economico. Come sapete, infatti, nella zona, che si trova a ridosso della costa spezzina, avevano costruito, anche se c'era questa «bomba ecologica». Abbiamo fatto ricerche, perforazioni, carotaggi e si è trovato di tutto; ma non si è trovato ciò che forse si voleva trovare, cioè i famosi fusti di diossina provenienti da Seveso, che non c'erano. Questa è stata l'attività che ho svolto.

PRESIDENTE. Do la parola al collega Piglionica.

DONATO PIGLIONICA. Colonnello, lei ci ha detto che si è partiti dal traffico di rifiuti che dalla Campania andavano verso la Calabria e probabilmente venivano usati per i sottofondi stradali.

IVANO TORE. Non per i sottofondi. Nella Locride, e in particolare nella zona di Mammola, c'erano dei cantieri aperti. Questi camion viaggiavano di notte, coperti da teloni, entravano nei cantieri... Dovrebbero avere il registro di entrata e di uscita, del carico, ma se uno controlla... Abbiamo scoperto qualche sito abbandonato a cielo aperto perché siamo stati fortunati, ma gli altri non li abbiamo individuati. Quindi, riteniamo che le ruspe necessarie per i cantieri servivano anche per questi scopi, cioè coprire immediatamente la discarica di questi rifiuti.

DONATO PIGLIONICA. Rifiuti solidi urbani o rifiuti speciali?

IVANO TORE. Quelli che abbiamo individuato erano rifiuti solidi urbani, probabilmente quelli non individuati - il «probabilmente» è d'obbligo - erano rifiuti speciali, di questo si parlava, di tipo ospedaliero eccetera.

DONATO PIGLIONICA. La Ignazio Messina come entrava in questo trasporto di materiale dalla Campania, via terra tra l'altro?

IVANO TORE. Attraverso il personale, che a noi risultava impiegato della ditta Messina. Perché la ditta Messina aveva sì la sede a Genova, ma aveva delle ramificazioni in tutta la costa tirrenica, compresa la Sicilia. Quindi, evidentemente, c'era un'attività collegata alla società Messina per far sì che... Perché la Messina, ad un certo momento, è stata in crisi dal punto di vista della navigazione, quindi, probabilmente, quella era un'attività collaterale che poteva risollevare un po' le sorti della società stessa.

DONATO PIGLIONICA. Un'attività di trasporto via terra...

IVANO TORE. Via terra.

DONATO PIGLIONICA. ...con dipendenti della Ignazio Messina che trasportavano...

IVANO TORE. Sì, o almeno... non ricordo quanti. L'attività è andata avanti per qualche mese, per potere avere una mappatura...

DONATO PIGLIONICA. Le domando: ci sono procedimenti, ci furono degli arresti, ci furono dei rinvii a giudizio?

IVANO TORE. Ci sono state delle denunce. Lei sa che all'epoca la denuncia era di competenza pretorile e quindi era il magistrato di pretura che si interessava. Oggi mi sembra che è passata di competenza del tribunale. Coloro che sono stati individuati che trasportavano materiale, rifiuti, eccetera, che hanno scaricato i materiali in luoghi non appropriati sono stati regolarmente denunciati alla magistratura della località (Locri o altre) in cui avveniva la discarica.

DONATO PIGLIONICA. Presidente, le chiedo se riusciamo ad ottenere dalle procure o dalle preture di Locri e delle altre località questa documentazione, perché mi pare che, se l'attività della Messina ha avuto un coinvolgimento in un traffico di rifiuti sulla terraferma, tutta la vicenda della Rosso prende un'altra piega.

PRESIDENTE. Va bene. Quanto tempo dopo lo spiaggiamento vi fu l'intervento sul posto di militari dell'arma?

IVANO TORE. Si riferisce alla Rosso?

PRESIDENTE. Sì.

IVANO TORE. Per quanto mi riguarda, noi siamo andati a fare un rilievo della posizione della nave con il capitano di vascello che è deceduto, De Grazia, un bravissimo collaboratore. Andò lui con il maresciallo Moschitta a fare i rilievi su come era posizionata, su come si presentava la struttura galleggiante, anche per verificare da quanto tempo era ferma, perché nessuno ci aveva mai segnalato questa situazione.

PRESIDENTE. Che lei sappia, vi fu un tentativo di dirottare i carabinieri che dovevano assistere alle operazioni della Messina?

IVANO TORE. Sì, di dirottamenti non palesi...

PRESIDENTE. Un falso incidente?

IVANO TORE. Non palesi ce ne sono stati diversi, interni ed esterni.

PRESIDENTE. Ci spiega meglio che significa?

IVANO TORE. Significa che intanto era un'attività, come dire...? In una Calabria già martoriata da altri episodi di natura più immediata, per un reparto speciale interessarsi di rifiuti era un po' non dico una deminutio, comunque era un'attività da uomini di stazione, delle compagnie. Si è mosso un reparto a livello provinciale con il magistrato, un bravissimo magistrato, che io stimo moltissimo, di pretura; quindi, insomma... Io al dottor Scuderi, che era a capo della procura, dissi: faccia una bella lettera al mio comando e dica che vuole questo, questo e questo, punto e basta. Altrimenti qui ogni volta la mattina mi dicono «guardi, oggi deve andare...», e questa attività... E così è stato. Quindi scrisse la lettera in cui disse - io all'epoca ero maggiore - «deve essere messo a disposizione per attività istituzionali di questa pretura».

Naturalmente, tutta l'indagine, in particolar modo sulla Rosso, era tenuta riservatissima, quindi se potevamo evitare di parlarne era meglio per tutti, perché la fuga di notizie purtroppo era all'ordine del giorno. E questi potrebbero essere i famosi condizionamenti (fra virgolette) interni, ma di natura non certamente impeditiva. Per quelli esterni, c'erano molte cointeressenze a far sì che si sminuisse il problema, dicendo che non era vero, che la Rosso non trasportava niente, che non c'era niente, tant'è vero che ad un certo punto dovemmo uscire allo scoperto mandando a fare una verifica sul posto, con fotografie eccetera. Trovarono riverniciato... ora non ricordo bene i particolari, però ricordo che De Grazia, che era molto competente, fu molto preciso su cosa era stato fatto, sulle variazioni su quella che era la struttura originaria di questa motonave. Però a memoria così direi che... potrei aggiungere qualcosa di mio piuttosto che dati di fatto.

PRESIDENTE. Che lei sappia, sono stati accertati rapporti tra la Messina e Comerio?

IVANO TORE. Comerio era a Milano. La Comerio l'abbiamo sentita quando siamo andati a Brescia. Non sono andato io di persona, ma andarono il maresciallo Moschitta e il maggiore De Grazia. Con un collega della Guardia forestale, non so se il colonnello... lì vennero acquisiti molti documenti. Io poi non so se questa Commissione è in possesso di questi documenti, ma il giorno stesso in cui... noi siamo stati a Brescia tre giorni, e in quei tre giorni fecero questa puntata alla Comerio.

PRESIDENTE. Non essendovi altre sollecitazioni, mi permetto di ringraziare per la squisita disponibilità, ma anche per gli elementi forniti, il colonnello Ivano Tore. Dichiaro conclusa l'audizione.

Pubblichiamo il testo integrale dell'audizione condotta dalla commissione bicamerale d'inchiesta sul traffico dei rifiuti con il comandante Luigi Pestarino, capitano del mercantile

Audizione di Luigi Pestarino.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Luigi Pestarino. La Commissione sta svolgendo un'indagine volta ad approfondire taluni specifici profili inerenti alla vicenda della motonave Rosso, appartenente alla compagnia genovese Ignazio Messina, arenatasi nel 1990 sulla costa calabrese presso il comune di Amantea.

Su tale vicenda sono attualmente in corso indagini della procura della Repubblica presso il tribunale di Paola e la stessa Commissione sta svolgendo specifici approfondimenti tesi a far luce sul complesso fenomeno del traffico illecito di rifiuti. La Commissione ha convenuto sull'opportunità di procedere nella giornata odierna all'audizione di Luigi Pestarino, che ha svolto la propria attività nel ruolo di comandante della motonave Rosso nel periodo in cui si riferisce la vicenda oggetto di interesse della Commissione.

Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata, do subito la parola al signor Pestarino affinché possa fornirci informazioni ed elementi di valutazione su tale vicenda, in particolare sull'affondamento della motonave e sul carico trasportato, riservando eventuali domande dei colleghi della Commissione al termine del suo intervento.

LUIGI PESTARINO. Vorrei fare una premessa, perché sono passati 14 anni e non è che abbia memoria di tutto quanto è successo (la mia memoria chiaramente non è più quella di 14 anni fa). Inoltre, ho cercato di dimenticare un fatto spiacevole che è accaduto durante la mia carriera di comandante. Ad ogni modo, sono qui a disposizione per le vostre domande.

PRESIDENTE. Parliamo della motonave Rosso. Essa è stata in disarmo dal 18 gennaio 1989 al 7 dicembre 1990 (più o meno due anni), data in cui è stata riarmata per il viaggio La Spezia-Napoli-Malta-La Spezia. Come mai questa urgenza?

LUIGI PESTARINO. Non lo so. Io sono stato chiamato per andare al comando della nave, per trasportare un carico a Napoli e a Malta. Posso pensare che c'era una quantità di carico che doveva essere smaltito - forse perché in inverno il tempo non permette di fare viaggi con una certa rapidità (si ritarda sempre, in inverno) - e portato a destinazione entro la fine dell'anno. Per accontentare i clienti entro la fine dell'anno, quindi, bisognava trasportare quel carico giacente a La Spezia.

PRESIDENTE. Nella sua esperienza, trattandosi di un viaggio di linea, non crede potesse essere adibita un'altra motonave? Magari della stessa società?

LUIGI PESTARINO. Le altre motonavi erano complete. Avevano un carico che doveva essere trasportato entro la fine dell'anno; in questo modo i clienti sarebbero stati pagati a dicembre e non nell'anno successivo.

PRESIDENTE. Si è fatto un'idea del perché è stata utilizzata una motonave cosiddetta Ro-Ro?

LUIGI PESTARINO. No, quando c'è da trasportare un carico per me non c'è differenza tra una nave Ro-Ro e una da carico, purché i contenitori vengano stivati, sotto coperta o in coperta.

PRESIDENTE. Quando le è stato comunicato che avrebbe dovuto effettuare quel viaggio?

LUIGI PESTARINO. Adesso non ricordo.

PRESIDENTE. Molti giorni prima? Pochi giorni prima?

LUIGI PESTARINO. So soltanto che mi sono imbarcato due giorni prima e poi due giorni dopo siamo partiti. Tutto l'equipaggio penso sia stato imbarcato due giorni prima; poi non c'era motivo di essere imbarcati molto tempo prima, se si fosse riusciti ad imbarcare il carico e le navi fossero ritornate per tempo... Questa era la mia idea, ma non abbiamo mai parlato di questa vicenda.

PRESIDENTE. Oltre al personale tecnico, vi erano altri a bordo della motonave?

LUIGI PESTARINO. Quando siamo partiti?

PRESIDENTE. Sì.

LUIGI PESTARINO. Sì, c'era una persona, mi sembra, una persona della compagnia, che era un tecnico addetto ai motori, che veniva per controllare la nave. Essendo stata tutto questo tempo fermo, era logico...

PRESIDENTE. Era normale che vi fosse una persona...

LUIGI PESTARINO. No, non era normale, era logico, perché si parla di due o tre anni. Fosse stata ferma sei mesi, non sarebbe stato necessario far venire qualcuno, ma in quel caso pensai che fosse giusto. Non ricordo il nome di questa persona.

PRESIDENTE. Dal giornale di bordo della Rosso si rileva che sin dalla partenza da Malta le condizioni meteo erano particolarmente avverse.

LUIGI PESTARINO. Erano avverse, ma non così come le abbiamo trovate dopo il passaggio dello stretto di Messina, tant'è vero che fino alle 4 del mattino ero stato sul ponte (perché c'era il secondo e si doveva passare lo stretto di Messina); alle 4 era montato di guardia il primo ufficiale e io sono andato a riposare, visto che ero in piedi dal giorno precedente. Lui poi alle 6 mi ha chiamato e mi ha detto che le condizioni erano peggiorate ulteriormente. Da quel momento, sono andato sul ponte e ho controllato la situazione; non ricordo quanto tempo sono stato lì, comunque poi decisi di andare a lavarmi e di mettermi le scarpe. Alle 6-6 e mezza sono sceso e alle 7 ho sentito un colpo rilevante. Allora, mi sono precipitato sul ponte, ma nessuno ha sentito niente, sia sul ponte sia le persone che dormivano. Da quel momento è cominciata tutta la vicenda che ci ha portati al naufragio.

PRESIDENTE. Lei si era preoccupato di verificare se il carico, anche in funzione delle avverse condizioni meteorologiche, fosse stato ben sistemato?

LUIGI PESTARINO. Ho dato ordine che fosse fatta la guardia in stiva ogni mezz'ora o un'ora e, finché ero sul ponte, è stata fatta, cioè fino alle 4 del mattino; poi, sono sceso per due ore.

PRESIDENTE. Qualcuno del suo personale ha rilevato delle anomalie nella sistemazione del carico?

LUIGI PESTARINO. Nella sistemazione del carico, no. Tuttavia, in coperta c'era un carrellino che si era mosso e si era incastrato, ma senza dare alcun fastidio a poppa.

PRESIDENTE. Tra le prime motonavi a giungere sul posto vi fu la motonave Giallo.

LUIGI PESTARINO. Fu una petroliera di cui non ricordo il nome, perché la motonave Giallo era distante e, quindi, arrivò dopo.

PRESIDENTE. Chi la chiamò?

LUIGI PESTARINO. Non io, perché ho mandato i segnali di soccorso e tutte le navi che si trovavano nelle vicinanze si sono avvicinate. Comunque, la prima è stata una petroliera - non ricordo il nome e non sono riuscito a marcarlo sul giornale - e poi altre cinque navi (due dell'AGIP ed un rimorchiatore).

PRESIDENTE. A che servivano queste navi, la Giallo in particolare, se, come da lei relazionato, peraltro in contatto radio, non era più possibile recuperare lo scafo?

LUIGI PESTARINO. Non lo so. Ho avvisato tutte le navi - e, quindi, anche la Giallo - ma non una per una, perché ho informato le capitanerie di Napoli, di Palermo e, forse, di Catania, che mi avevano sentito.

PRESIDENTE. Anche alla luce della sua esperienza, visto che il rimorchiatore Corona comunicò che il recupero era impossibile, a cosa serviva l'avvicinamento delle altre navi?

LUIGI PESTARINO. Nel momento in cui il rimorchiatore Corona ha detto che era impossibile, penso che anche le altre navi lo abbiano ritenuto tale. Quando le navi si sono allontanate io non ero più a bordo, perché ho lasciato la nave tramite l'elicottero e, quindi, non so se le navi si siano allontanate. Come ho lanciato il segnale di soccorso, così ho annunciato alle capitanerie - e le navi mi sentivano benissimo - che non ero più a bordo.

PRESIDENTE. Dal giornale della Giallo è scritto che alcuni marosi, frangendo sulla murata sinistra, raddrizzavano la Rosso. Qual è il suo ricordo?

LUIGI PESTARINO. Io non trovo niente di eccezionale verso quelli che non credono che si sia raddrizzata.

PRESIDENTE. È possibile? La Rosso era ingovernabile?

LUIGI PESTARINO. Sì, ma si è raddrizzata quando ha toccato la battigia. Questa storia è proseguita per molti anni. È possibilissimo che la nave sia sbandata a sinistra e si sia avvicinata alla battigia, che non è conforme perché è possibile che qualche parte della linea di costa non sia in linea retta. Nessuno ha pensato che l'acqua nella stiva fosse flottante ed allora, se la nave tocca da una parte e viene spinta dal mare dall'altra, è possibile che si appoggi con la prua, venga spinta e si raddrizzi. Però, il liquido viene sbattuto da un lato all'altro della nave e da un certo movimento: quindi, se non si tiene conto dell'acqua, sembrerebbe impossibile che si raddrizzasse al toccare della battigia.

PRESIDENTE. Chi effettuò le prime ispezioni a bordo?

LUIGI PESTARINO. In ospedale ci hanno visitato e ad un certo punto ho dovuto riferire i fatti sia alla capitaneria sia all'assicurazione. La compagnia mandò a Vibo Valentia il comandante De Caro, che si è interessato di tutte le questioni susseguenti il naufragio.

PRESIDENTE. Quindi non sa chi effettuò la prima ispezione?

LUIGI PESTARINO. Non ricordo.

PRESIDENTE. Lei ha partecipato alle ispezioni successive?

LUIGI PESTARINO. No, non avrei potuto, in quanto ero troppo impegnato per altre vicissitudini.

PRESIDENTE. Con quale carico la Rosso partì da La Spezia?

LUIGI PESTARINO. La nave non era molto carica, in quanto abbiamo completato il carico a Napoli, anche se non ricordo in quale percentuale rispetto alla potenzialità di trasporto della nave.

PRESIDENTE. Quale fu il carico imbarcato a Malta?

LUIGI PESTARINO. Mi sembra vi fossero nove contenitori pieni ed una certa quantità di contenitori vuoti; di questo carico ho più contezza perché ho dovuto segnalarlo sul giornale di bordo e ho dovuto risponderne all'autorità portuale.

PRESIDENTE. Come mai vi erano anche contenitori vuoti?

LUIGI PESTARINO. Perché una volta portato il carico a Malta i contenitori tornano vuoti, in quanto a Malta in genere non c'è molto da caricare; quel poco che viene esportato è rappresentato dal tabacco, che è stato poi ritrovato nella nave, da bibite liofilizzate o da rotoli di nylon, qualche volta anche frutta secca. Analogamente capita di tornare con contenitori vuoti anche dall'Africa; in ogni modo i contenitori sono per la maggior parte di proprietà dell'armatore o di altri privati che spediscono la merce e poi vogliono i vuoti indietro.

PRESIDENTE. A Napoli si congedò qualcuno dell'equipaggio?

LUIGI PESTARINO. Sì, uno.

PRESIDENTE. Come mai?

LUIGI PESTARINO. Non lo so. So che si è poi parlato molto del perché fosse andato via anche a Vibo Valenzia, ma non conosco il motivo.

PRESIDENTE. Quando la Smit Tak ha cominciato a lavorare per l'opera di recupero, lei ha collaborato?

LUIGI PESTARINO. No, ho solo letto qualcosa sui giornali.

PRESIDENTE. Quindi, una volta che la nave ha effettuato lo spiaggiamento lei non l'ha seguita più direttamente?

LUIGI PESTARINO. Sì, fino ad un certo punto ho seguito i contatti con la capitaneria e, una volta conclusosi il lavoro di recupero, mi sono allontanato.

PRESIDENTE. Quindi non ha saputo che pare ci sia stata una presunta mareggiata successiva nel febbraio del 1991?

LUIGI PESTARINO. Ho sentito qualcosa del genere, ma solo indirettamente. Volevo dimenticare questo spiacevole neo della mia carriera, tanto che da allora ho smesso di navigare.

TOMMASO SODANO. Ci ha parlato di un tecnico della compagnia. Vorrei chiederle se durante le fasi di difficoltà, tra le quattro e le sei del mattino, lei abbia avuto modo di vederlo all'opera per cercare di intervenire in quella fase.

LUIGI PESTARINO. Fu lui a sbarcare a Napoli, quindi non era presente al momento dello spiaggiamento. Il suo compito era soltanto quello di controllare il funzionamento del motore.

In genere per le navi nuove un tecnico segue l'imbarcazione per i primi sei mesi, controllando tutti i macchinari. Allo stesso modo una nave ferma da quasi tre anni aveva bisogno di una particolare assistenza, almeno all'inizio.

PRESIDENTE. Secondo la sua esperienza in che condizioni era quella nave?

LUIGI PESTARINO. A mio avviso era atta a navigare. Era una nave vecchia lasciata ferma per un certo periodo, ma rivedibile.

PRESIDENTE. Tuttavia, la capitaneria di La Spezia aveva sollevato una serie di contestazioni.

LUIGI PESTARINO. Certo, ma dopo il mio imbarco, avvenuto il 5, ci siamo dati da fare per rispondere alle contestazioni e sistemare quanto ci era stato richiesto dalla capitaneria. Il 7 la capitaneria ha poi effettuato un'ulteriore visita. Può ben capire che, se una nave è rimasta ferma, tutta una serie di materiali a bordo viene accatastata in una cabina per poi rimetterle in ordine una volta che si decide di farla ripartire.

PRESIDENTE. Come si è svolto il tutto è sembrato però un po' affrettato, o forse mi sbaglio?

LUIGI PESTARINO. Quando sono stato chiamato mi è stato riferito che la capitaneria aveva già operato un'ispezione e che aveva trovato una serie di cose da sistemare. Il giorno 6 sono andato a rilevare se tutte le richieste della capitaneria fossero state adempiute. Mi è sembrato che fosse tutto a posto; comunque la capitaneria è tornata ed ha formulato nuove contestazioni, dandoci venti giorni di tempo per sistemare il tutto.

PRESIDENTE. Conosce l'ingegner Comerio?

LUIGI PESTARINO. No. Non so chi sia, ho solo trovato il suo nome in un articolo di giornale letto successivamente ai fatti accaduti.

PRESIDENTE. È a conoscenza che sulla neve Rosso vi erano documenti relativi ai rapporti tra la società Messina e l'ingegner Comerio?

LUIGI PESTARINO. No. Quando mi hanno chiamato mi hanno solo detto che vi erano delle carte. Mi sono premurato di spiegare la situazione delle carte nautiche, poi ho letto sui giornali che oltre a queste vi erano altre carte, ma io non ne so nulla.

PRESIDENTE. Sulle carte nautiche disponibili sulla Rosso erano segnati anche luoghi diversi da quelli interessati dalla rotta di linea della Rosso stessa.

LUIGI PESTARINO. Quando sono stato interrogato su questo argomento, avrei voluto sapere di quali punti si trattava, perché essi...

PRESIDENTE. Sembra fossero corrispondenti all'affondamento di altre navi...

LUIGI PESTARINO. È possibile, perché vengono lanciati dei bollettini di sicurezza via radio (che possono anche essere presi alla capitaneria), con i quali si comunica l'affondamento di una nave e si specificano i punti nei quali la navigazione è pericolosa. Essi rimangono segnati fino a che un altro avviso ai naviganti segnala che non vi è più pericolo. Queste segnalazioni vengono date immediatamente via radio quando la nave va a fondo e poi vengono rilasciati dei bollettini settimanali dall'istituto idrografico (vengono inviati a bordo per posta) con i quali viene segnalato esattamente quel punto. Questi punti devono essere indicati sulla carta, fino a prova contraria; se si pensa che la nave debba rimanere lì per tanto tempo, si indicano a china, altrimenti con la matita, e si mette una posizione approssimata (fino a quando non viene indicata la posizione giusta).

PRESIDENTE. Con una nave diversa, più nuova, lei pensa che l'incidente si sarebbe verificato ugualmente?

LUIGI PESTARINO. È una domanda un po' difficile...

PRESIDENTE. Le precarie condizioni della nave possono avere inciso?

LUIGI PESTARINO. Se questa avaria della nave è dovuta al carrello, che è andato a sbattere alla paratia che non ha resistito, si può pensare che, se fosse stata nuova, sarebbe stata più resistente. Quando hanno recuperato la nave hanno parlato di questo carrello che è andato a sbattere contro l'opera viva della nave, procurando questo danno. Molto probabilmente, se la lamiera fosse stata nuova di zecca non sarebbe successo.

PRESIDENTE. Ringrazio il comandante Pestarino per la disponibilità e per le utili indicazioni che ci ha offerto per meglio comprendere questa difficile vicenda.

Dichiaro conclusa la seduta.

La seduta termina alle 16.15.

Pubblichiamo il testo integrale dell'audizione condotta dalla commissione bicamerale d'inchiesta sul traffico dei rifiuti, che si è svolta il 10 marzo 2005 con il procuratore Pace

Audizione del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste, Nicola Maria Pace.

PRESIDENTE. L'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha concordato sull'opportunità che la Commissione proceda nell'odierna seduta all'audizione del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste, dottore Nicola Maria Pace, al fine di poter acquisire elementi informativi, per quanto di sua competenza, sugli aspetti nazionali ed internazionali del traffico dello smaltimento illecito di rifiuti pericolosi e speciali, mediante l'impiego delle cosiddette «navi dei veleni».

Ricordo che la Commissione ha già ascoltato il dottor Pace nel corso della missione svoltasi in Friuli Venezia Giulia, nel novembre 2002.

Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento al dottor Nicola Maria Pace, per la disponibilità manifestata, gli do la parola, riservando eventuali domande dei colleghi della Commissione in esito alla sua relazione.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste. Signor presidente, devo avvertire la Commissione che esistono due fattori che possono appannare sia i ricordi sia la completezza dei miei riferimenti.

Il primo fattore è il tempo, visto che sono passati circa dieci anni dai fatti sui quali ho svolto le indagini. Per quanto tali indagini siano state condotte con grande attenzione e senso di responsabilità e nonostante sia dotato di una discreta memoria, qualche dettaglio potrà sfuggirmi.

È da considerare che si trattava di indagini riguardanti l'ipotesi di smaltimento in mare di rifiuti radioattivi, in cui ho svolto accertamenti, coordinandomi ed essendo in collegamento investigativo con la procura di Reggio Calabria, per cui non ero direttamente responsabile delle indagini.

All'epoca mi occupavo, con un'indagine che durava da anni, di centri italiani di riprocessamento del combustibile nucleare, in particolare di quello di Rotondella, in provincia di Matera.

Ho già riferito in merito a tali indagini e desidererei indicare alla Commissione di occuparsi ancora del problema, in quanto la situazione di pericolo individuata non solo permane ma potrebbe aggravarsi, in rapporto soprattutto alla giacenza di rifiuti radioattivi liquidi ad alta attività dentro contenitori che già all'epoca avevano esaurito il tempo massimo previsto in progetto.

Se tali rifiuti non sono stati solidificati come prevedono la scienza e gli stessi regolamenti tecnici dell'ENEA, in particolare secondo la guida tecnica numero 26, in cui si stabilisce che i rifiuti devono essere solidificati mediante vetrificazione o ceramizzazione, ovviamente, la situazione, già valutata in termini di gravissimo rischio all'epoca, è destinata a peggiorare.

Venendo al tema dell'audizione, ricordo che il DODOS era un progetto di smaltimento di deposito in mare di rifiuti radioattivi, da riconvertire in progetto ODM, come fu fatto da Giorgio Comerio, e quindi dando luogo all'ipotesi investigativa che ha portato nel corso delle indagini ad individuare una serie di elementi indizianti circa l'affondamento preordinato di navi nel Mediterraneo.

È necessario però fare un passo indietro e parlare di tecnologia di fissione nucleare, che nasce negli Stati Uniti, in cui si individua il modo di scindere l'atomo di uranio per ricavare energia con un minimo dispendio di massa. Con una piccola dose di combustibile, perciò, si ricavano grandi quantità di energie ma fin da subito si capisce che le conoscenze dell'epoca non permettevano di individuare un sistema di smaltimento dei rifiuti.

Allora, si decise di incassare i vantaggi della tecnologia, un'idea che rappresentava il sogno americano di Eisenhower rappresentato dal famoso slogan «Atomi per la pace» (forse un modo di «lavarsi l'anima» dopo Hiroshima e Nagasaki). Indubbiamente, si individuò una tecnologia estremamente vantaggiosa; tuttavia, si disse di rimandare il problema dello smaltimento dei rifiuti alle future acquisizioni scientifiche: sarà in seguito la scienza che dirà come dovremo smaltire la coda del ciclo produttivo. Sono trascorsi quasi ottant'anni, ma tale prospettiva non è stata realizzata né sembra potersi mettere in pratica in tempi brevi. Ho parlato con il professor Rubbia, che dirige al CERN di Ginevra gli studi per un progetto di termodistruzione della radioattività, che mi diceva che si è ben lontani dalla soluzione del problema.

Non essendo giunti ad un sistema generale di smaltimento finale delle scorie, è stato individuato un sistema sicuro di condizionamento e di conservazione delle scorie. Durante tale fase sono state avanzate ipotesi diverse, come il lancio di materiali nello spazio, ma alla fine è stato scelto il sistema del deposito per tempi lunghissimi in cavità geologiche: miniere di sale e cavità di basalto, in quanto il sale ha capacità di assorbire umidità e di propagare con gradualità il calore, mentre le rocce basaltiche sono notoriamente molto dure e quindi più impermeabili all'umidità.

Si tratta del sistema in auge fino agli anni '80, quando la comunità scientifica internazionale prende atto che tale sistema è inadeguato, insicuro, soprattutto, determinato da tempi lunghissimi perché i materiali depositati possano decadere. Il plutonio ha, ad esempio, tempi di dimezzamento pari a circa 24 mila anni e tempo decadimento finale, stimato, in tre milioni e mezzo di anni.

A Ispra, presso gli impianti dell'Euratom di Varese, attraverso finanziamenti americani e giapponesi (entro in ambito di acquisizioni investigative), si avvia un progetto alternativo al sistema di deposito in cavità geologiche. Tale progetto, denominato DODOS, ha visto la partecipazione di centinaia di tecnici di tutto il mondo: hanno contribuito due esperti scienziati dell'ENEA ed anche Giorgio Comerio.

PRESIDENTE. A che titolo partecipava Comerio?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste. Lo dirò più avanti, per meglio inquadrare le sue funzioni.

Il progetto va comunque a compimento ed è descritto in otto volumi. È stato acquisito da me e da Neri e risulta essere un progetto di altissimo valore scientifico, che prevede il deposito delle scorie in profondità oceaniche pre-studiate, in siti marini con una batimetria rilevante, pari a migliaia di metri, che devono avere uno fondale marino molle.

Il processo prevede che sei chili di scorie siano incapsulate in cannister, contenitori adeguati in acciaio e carbonio, quarantaquattro di tali contenitori siano infilati in un grosso cilindro, a cui si avvita un puntuale mentre all'altra estremità si collocano alcune alette, per cui otteniamo un siluro, che deve essere lanciato (abbiamo visto i lanci fatti nelle Azzorre ed acquisito i filmati che riproducono la fase sperimentale), da navi Ro.Ro, dotate di portellone. Il siluro ha un peso di circa 280 tonnellate e può raggiungere per caduta una velocità di circa 220 chilometri all'ora, per cui attraverso il calcolo della legge di Einstein (velocità al quadrato per la massa), si verifica quale enorme energia sia acquisita dal siluro, che si abbatte sul fondale molle e resta incapsulato sul fondale marino. Il progetto prevede, inoltre, di fare una mappatura del sito di deposito, attraverso un'antenna, ed è tale sistema che porta le nostre indagini a Comerio.

L'antenna, al momento in cui il siluro si conficca nel terreno, invia un segnale al satellite, che elabora il dato e redige la mappa. Si pensa poi al recupero dell'antenna ed è in tal caso che si ricorre a Comerio, che possiede la tecnologia per una antenna ad espulsione.

Giorgio Comerio aveva già operato nel campo ambientale, attraverso i geo-radar, con una società che usava tecnologie di rilevamento del suolo, alla ricerca di materiali ferrosi sottostanti, ed inoltre mostrava sue collaborazioni avute con la procura di Milano, alla ricerca di cadaveri nascosti nel terreno.

Comerio fa parte del gruppo di esperti che elabora il progetto, apportando la sua specifica conoscenza per l'antenna espulsa e recuperata per altri lanci, nel momento in cui il siluro affonda nel terreno, dopo aver dato il segnale al satellite.

Il progetto di altissimo valore scientifico, che superava di gran lunga in termini di sicurezza il precedente sistema, garantiva, secondo studi effettuati, una tenuta in sicurezza delle scorie a quelle profondità per milioni di anni. Si trattava di un grosso passo avanti, che aveva superato la vecchia tecnologia, basata sulle cavità, inadeguata e pericolosa. Nel corso delle indagini si parlò, addirittura, di una esplosione di un deposito sotterraneo, avvenuto nel Ghana.

Il progetto concluso perviene all'OCSE e Comerio riesce ad acquisirne il diritto d'uso (la privativa), denominandolo progetto ODM, e inizia ad avviare una serie di contatti con diversi paesi, come Svizzera, Francia, Austria, che però lo rifiutano: temono, infatti, di essere indicati come i primi smaltitori di rifiuti nucleari in mare.

Comerio ottiene un parere da uno studio legale di Lubiana che serve ad eludere la Convenzione dell'ONU e quella di Londra, relative rispettivamente allo sversamento ed alla territorialità marina, al fine di tutelarsi dall'accusa di essere uno smaltitore di rifiuti nucleari in mare. Il parere confermava che non si smaltivano le scorie presso i mari territoriali e che i rifiuti non venivano sversati, bensì depositati.

Munito del parere ed attraverso una società presso le Isole Vergini (poco più di un recapito), avvia i contatti internazionali di cui sopra ed, inoltre, procede ad una intesa con una giunta militare africana, che si impegnava a cedere a Comerio tre isole, di cui una sarebbe stata affidata a lui, in cui avrebbe installato un centro di smaltimento di rifiuti radioattivi in mare, un'altra sarebbe stata ceduta a Ligresti, in cui avrebbe costruito villaggi turistici, la terza infine sarebbe stata data al professor Carlo Rubbia, affinché potesse installarvi un reattore di potenza abbastanza piccolo, per fornire energia sia all'impianto di smaltimento sia ai villaggi.

Dovevamo ascoltare le persone coinvolte e, dopo qualche esitazione, il professor Rubbia venne sentito, e ci disse che, in occasione di una sua conferenza presso l'università di Pavia, Comerio l'aveva contattato ma di non aver accettato la sua proposta.

PRESIDENTE. Avete sentito Ligresti?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste. No.

In tale ambito entriamo in collaborazione investigativa con Neri ed assumiamo gli atti in maniera congiunta, supportati dal Corpo Forestale dello Stato ed, in particolare, dalla polizia ambientale di Brescia. Il colonnello Martini mi aveva impressionato per la sua intelligenza e la sua capacità di contatto, a livello di intelligence, con ex smaltitori di rifiuti.

Altri supporti provenivano da personale scelto da me e da Neri, come il maggiore Zaccaria ed il maresciallo Moschitta, e dalla polizia giudiziaria di Reggio Calabria.

Non tardammo perciò a verificare che la materia d'indagine era scottante e che esisteva una grande attenzione da parte di persone non identificate: a Brescia c'era un camper sospetto munito di una telecamera che filmava i nostri movimenti. Ne parlai con il colonnello Martini che consigliò di lasciarli fare, senza intervenire con una perquisizione: meglio sapere quello che stavano facendo che rischiare di essere spiati senza saperlo.

Fummo anche costretti a cambiare il ristorante dove mangiavamo, perché frequentato da strani personaggi, probabilmente iracheni. Inoltre, altre persone, che invece sostenevano l'indagine, si fecero avanti: mi ricordo di un agente israeliano, probabilmente del Mossad, che mi mostrò il suo tesserino di riconoscimento.

A Brescia, dove si trovava la nostra base operativa per gli interventi investigativi di maggiore importanza, si disposero circa sedici perquisizioni, che portarono all'acquisizione di un quantitativo abnorme di materiale.

Mi ricordo i filmati degli affondamenti e delle sperimentazioni compiute presso le isole Azzorre: lo scenario che si stava delineando mi dava la sensazione forte che la nostra Terra fosse piccola ed indifesa, che potesse bastare un qualsiasi Comerio per metterla in pericolo.

Il materiale acquisito poi andò a Reggio Calabria, per cui avevo una conoscenza dei contenuti sulla base di quello che discutevo con Neri, anche in seguito alla morte di Natale De Grazia.

Furono ottenuti i contratti, con cui la società di Comerio comprava rifiuti da una serie di paesi, ed elementi che portavano all'impiego di navi, per lo smaltimento dei rifiuti.

Subentrò allora nella collaborazione investigativa anche il capitano Natale De Grazia, di cui ricordo l'entusiasmo ed i sacrifici personali, per contribuire all'indagine. Non era usuale che la Capitaneria di porto si calasse con tanta determinazione e dispendio di tempo in attività investigative.

Il capitano Natale De Grazia aveva il compito di riepilogare gli affondamenti e di verificare che cosa fosse accaduto per ogni evento del genere. La mattina del giorno della sua morte ero a Matera; alle 10,30 mi chiamò a casa e mi disse che stava partendo per Massa Marittima e, successivamente, per la Spezia, dove avrebbe compiuto alcune verifiche sui registri nautici. Disse che a Reggio Calabria mi avrebbe portato con un'imbarcazione della Marina sul punto esatto, dove era stata affondata la Rigel, una delle tante navi effettivamente colate a picco, su cui nutro i maggiori sospetti. Affondata al largo di Capo Spartivento, a 1.400 metri di profondità era la nave sul cui affondamento esisteva certezza, attraverso una annotazione cifrata in inglese che la citava come persa.

Ciò che è emerso sui singoli affondamenti è stato acquisito attraverso l'esame del materiale che è stato portato a Reggio Calabria ed esaminato poi in un anno dai collaboratori di Franco Neri. Sono ben informato dello scenario complessivo; tuttavia, dei contenuti specifici di quelle carte, che davano conto delle navi affondate e delle modalità, ne so poco.

Parlo perciò dell'indagine dal momento in cui si comincia dal progetto DODOS e si passa a quello ODM, con l'implicazione di un trafficante di rifiuti, come Giorgio Comerio.

PRESIDENTE. Quali erano gli interessi in gioco?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste. Parlo di iracheni in quanto avevo elementi acquisiti dalle indagini sulla Trisaia di Rotondella, che verificavano il fattore di maggior rischio nel centro di Rotondella, ricollegato alla giacenza di rifiuti liquidi ad alta attività dentro contenitori «marci», che avevano già dato luogo a tre incidenti nucleari accertati. Si trattava di un impianto che per trent'anni era stato mascherato come centro di ricerca e su cui il presidente dell'ENEA dovette ammettere una situazione di tipo «cimiteriale», con una pessima guardiania per i materiali depositati.

Il mio obiettivo era di selezionare il tema investigativo di maggiore importanza, relativo al concetto di precauzione, di prevenzione, di messa in sicurezza dei materiali e di tutela della popolazione e dell'ambiente. Era evidente, tuttavia, che altre cose erano emerse, in un quadro di variegata illegalità, ancora da approfondire.

Risultò che, per l'esecuzione di un'opera, furono fatti sedici subappalti, che evidenziavano un dispendio di risorse. Il nostro ordinamento amministrativo prevede che ogni ente sia controllato dall'esterno ma l'anomalia dell'ENEA era quella di controllarsi da sé, attraverso il suo dipartimento ispettivo, il quale avallava le maggiori irregolarità. La tenuta dei materiali, all'interno di contenitori inidonei, era una regola avallata, attraverso proroghe continue, da parte di due ingegneri, Naschell e Letti, che, dopo l'ennesimo incidente, avvenuto il 14 aprile del 1994, furono costretti a redigere un documento di estremo allarme che mai l'ENEA avrebbe divulgato all'esterno, soprattutto, se letto nel linguaggio dei nuclearisti.

Il documento, acquisito da me, fu soggetto ad un'attività di verifica, perché convocai i due ingegneri, in un momento drammatico, in quanto ad certo punto gli stessi sparirono, con la polizia giudiziaria che li cercava nei bagni e nei garage, in quanto i due erano terrorizzati dalla citazione ricevuta. Dopo aver accertato l'autenticità del documento, perché tema di grandissimo interesse per la sicurezza nazionale, pensai ne dovesse essere informato il Capo dello Stato. Io, insieme al dottor Franco Marini, inviammo una nota con il documento, incaricando il colonnello Martini di portarlo al Capo dello Stato. Nella stessa notte, presso la Presidenza della Repubblica, alla presenza del Segretario generale Gifuni, il Capo dello Stato ci chiamò ringraziandoci e dicendoci di informare il Presidente del Consiglio dei Ministri, l'onorevole Dini, il quale incaricò il sottosegretario Cardia di seguire la vicenda ed a cui ho riferito tutto, affinché provvedesse per la tutela della sicurezza pubblica.

Nel prosieguo delle indagini, sono venute fuori altre questioni. È stata acquisita la documentazione sui rapporti intercorsi fra Italia e Stati Uniti, dal 1954 agli anni '70, che rivela la totale subalternità del nostro paese, senza mezzi e risorse scientifiche per gestire la materia nucleare. Da tali documenti risulta, quindi, che l'Italia nel 1978 ha ceduto all'Iraq due reattori plutonigeni Cirene, che allarmano la comunità internazionale, in quanto servono a ricavare la materia prima che i trattati di non proliferazione vietano di cedere; successivamente, presso il centro di riprocessamento di Rotondella c'è stata inoltre la continuativa presenza di personale iracheno, che apprendeva l'uso di tale tecnologia.

A tale riguardo, è necessario citare un episodio. In quel periodo indagavo sui cosiddetti Siroi, che erano cavità scavate nella roccia risalenti al IV secolo a.C. usate come silos per contenere cereali, quando l'area dell'attuale Trisaia di Rotondella costituiva l'antico porto sul fiume Sinni. Da un manuale dell'ENEA, i Siroi risultavano impiegati per il deposito di scorie radioattive.

In Italia, l'unico studioso di tali siti era il professor Quilici, docente di antropologia culturale all'università di Bologna, di cui mi ero già occupato per altri fatti legati all'eversione terroristica. Mi posi, allora, il quesito se si trattasse della stessa persona e gli telefonai per localizzare i Siroi. Venne da me, ma, quando comprese che l'obiettivo dell'indagine non era legato all'archeologia, fu preso dal panico e cominciò ad accampare varie questioni, producendo una consulenza non vera, in quanto negava che fossero ancora riconoscibili e, quindi, non più localizzabili.

In connessione con la vicenda dell'Iraq, mi rivolsi perciò ad una persona, che aveva compiuto una scelta di vita per la Basilicata, deceduta ultranovantenne proprio in questo periodo, il professore rumeno Adames Teanu, che aveva condotto studi archeologici in Basilicata, terra di cui si era infatuato. Chiesi allora al professore se poteva rintracciare i Siroi, ma costui non poteva aiutarmi. Disse infatti che era stato pubblicato un testo, oramai introvabile, contenente le mappe dei Siroi, che aveva posseduto in passato, custodito presso la sua abitazione, ma che gli era stato in seguito trafugato. Raccontò che un giorno aveva ricevuto una strana visita da parte di iracheni, che gli fecero molte domande, e mi citò anche il nome dell'albergo dove avevano alloggiato. Sta di fatto che una volta usciti gli iracheni dalla sua casa, era sparito anche il libro sui Siroi.

Collegai quindi il fatto descritto agli avvenimenti di Brescia, quando ho raccontato di strani movimenti di persone, probabilmente arabe, che stazionavano nei pressi di un camper, munito di telecamere, e che chiaramente, ora, ero molto più propenso di altri a ritenere di nazionalità irachena.

PRESIDENTE. Fu esaminato anche Garelli e furono accertati rapporti con la criminalità organizzata?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste. Alla procura di Lecce esistevano procedimenti chiusi, definiti Urano 1 e 2. Andai, perciò, personalmente, ad acquisire tale materiale; tuttavia, non ho avuto poi il tempo di leggere tali documenti, in quanto le acquisizioni furono effettuate nel momento in cui lasciai Matera per andare a Trieste, la mia attuale sede.

Attraverso colloqui con il collega Cataldo Motta, seppi che il procedimento nella sua fase iniziale riguardava un traffico di riciclaggio di autovetture e che esistevano alcuni indizi concernenti lo smaltimento di scorie radioattive, presso un deserto di cui non ricordo il nome. Tali questioni iniziali non furono accertate ulteriormente, in quanto, avendo più volte indagato su tali argomenti, conosco con certezza le difficoltà dei magistrati ad approcciare le questioni di carattere nucleare. Probabilmente, non sono stati colti gli spunti più interessanti.

Signor presidente, chiedo che il mio intervento prosegua in seduta segreta.

PRESIDENTE. Prendo atto che la Commissione concorda e dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.

(La Commissione procede in seduta segreta).

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.

Non essendovi altre domande, ringrazio il dottor Nicola Maria Pace, non solo per la sua cortesia, ma soprattutto per l'interessantissimo panorama che ci ha offerto, che, sicuramente, permette di comprendere al meglio i fenomeni che la Commissione ha il compito di esaminare.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste. Signor presidente, sono io che la ringrazio anche per aver rimandato la mia audizione.

PRESIDENTE. La ringrazio e le auguro buon lavoro. Dichiaro conclusa l'audizione.